La metafora del cibo nel film ‘Un figlio di nome Erasmus’.
Con questo articolo parte una nuova rubrica di Italian Food News incentrata sul legame tra l’arte culinaria e la settima arte.
Un figlio di nome Erasmus è un film di Alberto Ferrari, scritto insieme a Gianluca Ansanelli. Una tipica commedia all’italiana, una storia già letta, o meglio, già vista. Quattro amici rinchiusi nelle loro scelte di vita che simulano felicità ma che avrebbero voglia di fuggire anche se non lo dicono a loro stessi. La loro vita cambia improvvisamente grazie a una telefonata che li porterà in Portogallo al funerale della loro ex fidanzata comune. Amalia, pornostar, che ha lasciato a uno dei quattro un figlio. Si ritrovano in aeroporto e inizia lì la loro avventura, il loro viaggio nel tempo e nello spazio. Nel Portogallo del loro Erasmus, vent’anni indietro.
Se ci soffermiamo sulla trama, nulla di che. Eppure il film “viaggia”, scorre, fa sorridere. La scelta dei protagonisti Ricky Memphis, Paolo Kessisoglu, Luca Bizzarri e Daniele Liotti è certamente azzeccata e i colori di Lisbona che si fondono con i paesaggi mozzafiato dell’Atlantico portoghese danno ossigeno allo spettatore in un 2020 in cui il viaggio è il miraggio più desiderato da tutti.
Il cibo nel film è marginale eppure quelle poche apparizioni esprimono e raccontano tanto di una società conservatrice o aperta alla diversità. Durante le prime battute della storia, Jacopo, (Kessilogu) un monsignore in carriera, porta alla sorella il solito pacco di cioccolatini. La solita scatola rettangolare, avvolta in maniera precisamente maniacale da un nastro. Non vengono né aperti, né mangiati, ma gettati di nascosto dove erano stati buttati tutti gli altri precedenti. Quella scatola classica, perfetta, che lascia immaginare il sapore di chiuso, di naftalina, rappresenta esattamente Jacopo, la sua chiusura mentale, la sua intolleranza, la sua eccessiva formalità.
Oltre confine tutto cambia. Dai litri di birra scolati da giovani e vecchi “erasmus” i sensi si aprono e l’ostia si trasforma in pringles da benedire non più su un altare ma nel mezzo della natura più selvaggia dove si è tutti uno e dove la diversità è un arricchimento. Ad un certo punto, viaggio nel viaggio: l’avventuroso Ascanio (Bizzarri) si ritrova in un igloo per ammirare l’aurora boreale, a bere insieme agli esquimesi una tipica zuppa locale che ha un terribile sapore di foca … eppure è magia.
Alla fine del film, il banchetto nuziale in tipico stile portoghese in cui Enrico (Liotti) sposa l’amata prof americana (Carol Alt) e non più la promessa sposa, racconta la freschezza, l’autenticità del convivio semplice, mai pomposo, dove si è liberi di essere se stessi senza dover dimostrare nulla a nessuno. In cui il sapore del sale dell’oceano fa da ponte con terre lontane e toglie il gusto stucchevole degli innumerevoli confetti e finto bon ton. Pietro (Menphis), talent scout musicale ha il coraggio di mandare al diavolo contratti e volgari trapper tornando alla sua passione storica, la batteria. In fondo, se si ha il coraggio di lasciare andare e rischiare è perché ne vale la pena e per citare il celebre poeta portoghese Fernando Pessoa, Tudo vale a pena se a alma não é pequena. (Vale la pena tutto se l’anima non è piccola).
Le rubriche di Italian Food News
MANGIAMO IL CINEMA
a cura di Valeria Saggese
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Questa rubrica più che recensire film in maniera classica, si pone lo scopo di raccontare attraverso le scene legate alla gastronomia, gli stili di vita, la cultura, la società e l’arte che ogni pellicola esprime.
Il cibo viaggia all’unisono con il cinema sin dagli albori. Nel 1895, i fratelli Lumière, nella prima proiezione pubblica della storia, inserirono il film “le repas de bebé” (la colazione del bimbo).
La cucina è sinonimo di amore, allegoria dei cambiamenti sociali, metafora di una società conservatrice o aperta alla diversità. Rappresenta le maschere dell’essere umano, le paure, la discriminazione, l’uguaglianza. Narra le vulnerabilità e i punti forza delle persone, la storia dell’intera umanità.
Il cibo è cultura, erotismo, socialità, arte e poesia. Come il cinema, scava nelle emozioni profonde dell’essere umano e le racconta. Spesso sono arrivati a fondersi così bene al punto che ci si pone la domanda se è ciò che mangiamo ad esprimere il cinema o è quest’ultimo a raccontare attraverso il cibo la nostra storia.
Certamente, l’uno non esisterebbe senza l’altro.
Valeria Saggese