L’appello del Conaf: un’azione congiunta degli enti pubblici per gestire la peste suina

in foto, Sabrina Diamanti Presidente CONAF

Occorre concertazione tra tutti i Ministeri, le Regioni e i diversi attori della filiera suinicola: siamo di fronte a un’epidemia che potrebbe rivelarsi estremamente dannosa per il comparto zootecnico e non è sufficiente fermarsi alle misure di prevenzione: serve una strategia unitaria assieme a misure di sostegno. Questo il giudizio del CONAF su rischio epidemia di peste suina africana che sta investendo Piemonte e Liguria e, potenzialmente, un’area ancor più vasta e un intero comparto economico.

Il virus è molto aggressivo poiché raggiunge livelli altissimi di mortalità degli animali malati (anche il 90%). È capace di rimanere vitale anche fino a 100 giorni sopravvivendo all’interno dei salumi per alcuni mesi o resistendo alle alte temperature.” – Sabrina Diamanti, Presidente CONAF – “Sappiamo che la PSA si può debellare, come avvenuto in Repubblica Ceca (pochi mesi) o in Belgio (due anni). Il problema è la frammentazione delle competenze amministrative e gestionali fra decine di Enti, che caratterizza molte volte il nostro Paese, che non aiuta ad affrontare questa situazione: deve invece essere una delle priorità per i tre Ministeri coinvolti (Salute, MITE, Politiche agricole) e deve portare a scelte uniformi, coordinate, razionali ed efficaci.”

Dal ritrovamento di alcune carcasse, anche a distanza di molti chilometri, consente di ipotizzare che il contagio possa essere partito da alcuni mesi. Ciò significa che l’epidemia potrebbe essere molto più vasta del previsto, quindi occorrono tante “sentinelle” del territorio.

In particolare, i dottori agronomi e forestalipossono giocare un ruolo chiave: subito, nell’attuale fase di “monitoraggio” della malattia, per il ritrovamento di carcasse di cinghiali grazie alle segnalazioni dei professionisti impegnati con le aziende zootecniche. In seconda battuta nella gestione faunistica in qualità di specialisti del monitoraggio, censimento e predisposizione di piani operativi di intervento nei parchi, negli ambiti territoriali di caccia e negli altri istituti faunistici.

Ci auguriamo che le strategie decise ai tavoli, superino i limiti amministrativi fra Regioni e fra ATC e Enti Parco, in modo che vi possa essere un’azione omogenea sull’intero territorio: abbiamo già imparato dalla pandemia che il contagio può circolare senza curarsi dei confini e dei diversi ambienti.” – conclude Sabrina Diamanti, Presidente CONAF – “Bisogna, subito attivare tutte le misure, non limitandoci a quelle di prevenzione, ma anche quelle di sostegno alle imprese zootecniche e di trasformazione, che già iniziano ad accusare blocchi delle esportazioni verso diversi Paesi esteri.”

La PSA (Peste Suina Africana) è una malattia virale che colpisce i suini sia domestici che selvatici, non è una zoonosi, quindi non è pericolosa direttamente per l’uomo. L’attuale sierotipo, che da qualche anno sta circolando in Asia e nell’Europa dell’est, vede nel cinghiale un formidabile serbatoio/diffusore e raggiunge livelli altissimi di mortalità degli animali malati (anche il 90%), a differenza del sierotipo presente da decenni in Sardegna, che presenta una bassa letalità. Il virus è dotato di una buona resistenza in ambiente esterno e può rimanere vitale anche fino a 100 giorni sopravvivendo all’interno dei salumi per alcuni mesi o resistendo alle alte temperature. Nel sangue prelevato è rilevabile fino a 18 mesi. Il problema della PSA sia nel cinghiale che nel suino non è solo un problema del comparto veterinario, come non solo un problema venatorio se colpisce il selvatico. Come detto, il virus non è contagioso per gli esseri umani, ma i rischi per l’economia sono elevatissimi.

La problematica maggiore sono i vincoli commerciali imposti dalla PSA: dalle zone infette, per esempio, non si può esportare carne suina a meno che non si dimostri di rispettare certi parametri di sicurezza, mentre gli animali sospetti vengono immediatamente distrutti, con costi elevati per lo smaltimento, che si sommano alle perdite per la mancata vendita. Per far capire l’entità dei danni che può causare questa malattia, basti pensare che prima delle gravi conseguenze dell’epidemia da Coronavirus COVID-19, la Cina è stata colpita, nel 2019, dalla PSA che ha causato danni economici per oltre 140 miliardi di dollari, determinando una perdita di PIL pari al 2% e un aumento di un punto percentuale dell’inflazione cinese. Il primo comparto produttivo a rischiare gravissime ricadute economiche sarebbe quello della filiera suinicola e della produzione di insaccati di qualità rinomata in tutto il mondo. Non meno grave sarebbe a livello italiano l’impatto sulle produzioni suinicole di qualità, basate su allevamenti bradi e semibradi, spesso site in aziende agricole e zootecniche di piccole dimensioni.

Il “Piano di sorveglianza e prevenzione in Italia” predisposto dal Ministero della Salute nel 2021, assieme al Manuale delle emergenze per la PSA, prevedevano già le forti misure restrittive per le attività umane, professionali e ricreative, che sono state poi inserite, con declinazioni diverse, prima nell’Ordinanza Ministeriale del 13.01.2022 e poi nel recente atto del Direttore Generale del Ministero della salute del 18.01.2022, e che hanno aperto come era prevedibile un forte contrasto con le istanze provenienti dai territori.

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