A tavola in casa Cupiello

Una scena del film 'Natale in casa Cupiello'

Quando si annoverano cibo e macchina da presa forse non viene subito in mente Natale in casa Cupiello perché nasce come opera teatrale, eppure per ben tre volte la commedia delle commedie è diventata film. Nel 1962 e nel 1977 è stata diretta dallo stesso drammaturgo Eduardo De Filippo per la RAI,certo sempre in formato teatrale, mentre nel 2020 arriva il film di Edoardo De Angelis (in libera visione su RaiPlay). Un azzardo, addirittura un errore per molti, un atto coraggioso dal mio punto di vista. Eduardo, si sa, è la massima espressione del teatro, della tragicommedia, della drammaturgia. Un grande regista e attore “irreplicabile”. Detto ciò, cosa fare? Non portarlo più in scena, o provare a omaggiarlo e raccontarlo?

È facile vestire i panni da critico e fare ovvi e obsoleti parallelismi. Credo che l’errore sia proprio questo. Dunque, mi sono approcciata al film di De Angelis con amore per Eduardo, cercando di leggere proprio l’amore che lo stesso regista e gli attori hanno messo per non essere ovvi, scontati né imitatori. È doveroso supportare gli artisti e non demolirli quando c’è professionalità da vendere.

Sergio Castellitto con una pronuncia non precisissima, come con qualche sottile sfumatura forestiera era quella di Mastroianni nel film Matrimonio all’italiana che riprendeva “Filumena Marturano”, ha tirato fuori la capacità e l’intensità di un vero professionista. Marina Confalone, che c’era anche nella versione televisiva del ’77 diretta da De Filippo, qui, è la protagonista femminile. Una “donna Cuncetta” diversa che non ha mai scimmiottato la Maggio e che è uscita dal teatro per entrare nel cinema, tirando fuori nei dialoghi con il marito Luca e gli altri la metafora originaria, “Natale fatto dal freddo della povertà e dal cibo della ricchezza”.

Un “caffè lasco” (lungo) fatto per risparmiare, “ ‘a zuppa ‘e latte” pretesa a letto dal figlio Ninnillo,(nell’originale interpretazione di Adriano Pantaleo), galline regalateda spennare, brodo vegetale con i tubetti nel giorno dell’antivigilia per purificarsi prima dell’abbuffata di “quel santo giorno”e un capitone che si lancia dalla finestra per non essere mangiato.

Il rosolio mette d’accordo tutti, offerto con la pasta reale e con gli struffoli, portato in dono con i dolci o che “resuscita” dagli svenimenti. Brodo di pollo per curare, mandarini sulla tavola perché non sarebbe dicembre senza e ancora, graffe, baccalà e l’immancabile piatto di minestra maritata che cade dalle mani di donna Cuncetta nel momento clou della tragedia.

Tra immagini di neve artificiale spruzzata sulla scalinata che porta ai re magi del presepio, lì dove si beve acqua congelata, il Natale resta un sogno che il regista enfatizza con la musica, con l’opera. Enzo Avitabile riporta in chiusura tutti sulla terra con “duorme stella”. E’ la fragilità umana, fatta di malattie, amore, pace con le persone “sbagliate”, – ma chi siamo noi per giudicare – si torna bambini e si perdona.

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a cura di Valeria Saggese © Riproduzione riservata

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