La ricetta del Consorzio Parmigiano Reggiano per far fronte alla crisi climatica

In foto il Presidente del Consorzio Parmigiano Reggiano, Nicola Bertinelli

Si è parlato del ruolo del cibo contro la crisi climatica
per una transizione ecologica giusta alla III edizione del Forum Agroecologia Circolare
organizzato da Legambiente al quale ha partecipato anche Nicola Bertinelli, presidente
del Consorzio Parmigiano Reggiano.
Nicola Bertinelli è intervenuto sul tema: “Agroecologia e sostenibilità delle filiere
agroalimentari: ridurre gli input idrici, chimici ed energetici dal campo alla tavola”
.
Un’occasione per ribadire in quale modo la filiera del Parmigiano Reggiano può contribuire
a un futuro più sostenibile.
Dopo una breve introduzione sul Brand Manifesto del Consorzio di tutela – un vero e
proprio patto con il consumatore finale sui 5 pilastri con i quali il Consorzio ha declinato la
propria visione di sostenibilità: il territorio, l’ambiente, la comunità, il benessere animale e il
benessere umano – il presidente Bertinelli ha parlato dell’impegno di una risorsa
importante (oltre 12 milioni di euro) che nell’arco triennale incentiverà tutti gli allevatori a
intraprendere comportamenti virtuosi sui diritti degli animali, con l’obiettivo di migliorare
ancora di più il parametro Crenba che misura il benessere animale in allevamento.
Il progetto “benessere animale” mira ad aumentare la qualità della vita delle bovine che
contribuiscono alla produzione lattiero-casearia, incentivando e responsabilizzando gli
agricoltori. È stato creato anche grazie al contributo di esperti esterni chiave, permettendo
al Consorzio di attingere a competenze tecniche da accademici, associazioni non-profit e
anche agenzie governative. Per sviluppare questa strategia, sette veterinari sono stati
reclutati dal Consorzio, a seguito di una formazione intensiva sui protocolli e sui requisiti di
benessere animale da parte del Centro di Referenza Nazionale per il Benessere Animale
(CReNBA)
, il gruppo che conduce un censimento di tutte le aziende agricole coinvolte
nella filiera, giudicando continuamente le loro prestazioni attraverso visite periodiche in
loco. Le valutazioni delle aziende sono fatte su base volontaria come modo per
promuovere un cambiamento nella cultura e nella sensibilità del benessere animale. Nei
primi due anni del programma, è stato avviato un censimento su 2.520 allevamenti
certificati per il Parmigiano Reggiano. Ciò ha permesso di ottenere una visione completa
delle aziende che producono il latte utilizzato per la lavorazione del Parmigiano Reggiano.
“Il Consorzio Parmigiano Reggiano continua a impegnarsi affinché tutta la sua filiera
produtti
va possa essere sostenibile. È un viaggio che non terminerà a breve e che

richiederà coraggio e dedizione, ma non per questo smetteremo di affrontarlo” ha
commentato il presidente Bertinelli.
L’agricologia, intesa come agricoltura pensata e gestita per migliorare i sistemi agricoli,
imitando e valorizzando i processi naturali dell’ecosistema è al centro delle strategie del
Consorzio: si tratta di uno studio integrativo dei risvolti ecologici dei sistemi alimentari
intesi nel loro complesso, tenendo conto degli aspetti ecologici, economici e sociali.
“È proprio questo l’approccio che il Consorzio vuole avere quando si parla di sostenibilità:
rispetto non solo per l’ambiente, per il territorio e per le bovine, ma anche per le comunità
sociali e per i cittadini che meritano una corretta informazione per una sana alimentazione”

ha commentato Bertinelli.
La filiera del Parmigiano Reggiano si caratterizza storicamente per bassi input:
idrici: il fulcro del sistema sono i foraggi freschi o affienati (prevalentemente medica
e prati stabili) che necessitano in generale di molta meno acqua del mais, che nel nostro
comprensorio di fatto non è punto coltivato non utilizzando noi insilati;
chimici: analogamente gli erbai necessitano di minime quantità di chimica (rispetto
ad esempio al mais); nella filiera del latte si utilizza meno dell’1% dei farmaci veterinari;
energetici: si ara ogni 5 anni anziché ogni anno.
Per quanto riguarda le stalle, il Consorzio ha di fronte importanti evoluzioni che vanno
governate, diffondendo le tecnologie oggi disponibili che permettono importanti riduzioni
dei consumi di acqua.
Il Consorzio sta inoltre lavorando per avere numeri precisi e dettagliati sui consumi di
farmaci, che permetteranno di documentare i progressi ottenibili attraverso la sempre
maggiore diffusione del concetto di zootecnia di precisione, che si concretizzerà in
particolare, ad esempio, nel passaggio generalizzato alla messa in asciutta selettiva
previsto per l’inizio del 2022. Per questo sono state svolte e proseguiranno attività di
formazione che già nel 2021 hanno coinvolto centinaia di allevatori.
La strategia Farm to Fork pone come obiettivo la riduzione del 50% dei farmaci in
zootecnia e tale obiettivo è realistico per la filiera del formaggio Dop.
La riduzione degli input energetici è la grande sfida che il Consorzio ha accettato,
ritenendo che la diffusione del fotovoltaico sui tetti delle stalle e degli impianti per la
produzione di biogas e biometano darà risultati significativi nel giro di pochi anni.
Tali azioni saranno accompagnate dalla diffusione di impianti di aeroessiccazione del
foraggio che permetterà alla filiera di incrementare ulteriormente
l’autoapprovvigionamento portando a una sempre maggiore specificità delle produzioni,
oltre che a una riduzione degli impatti legati ai trasporti.
Se un punto di forza della filiera del Parmigiano Reggiano è il foraggio comprensoriale,
sarà necessario lavorare molto per ridurre la dipendenza dall’esterno per quanto riguarda
le granaglie utilizzate nei mangimi: tuttavia ha preso il via un progetto che punta a
identificare e promuovere soluzioni funzionali ad aumentare le produzioni territoriali di
queste materie prime.

Per quanto concerne gli input, il Consorzio ritiene importante promuovere un approccio
che parli anche di bilanci considerando, in particolare per quanto riguarda le emissioni di
gas serra, sia le emissioni che le quantità di carbonio catturate dalle colture che vengono
gestite e utilizzate.
A questo proposito è stato citato lo studio di Roberto de Vivo e Luigi Zicarelli sulle
emissioni di gas serra nelle attività zootecniche pubblicato nel 2021 da Oxford University
Press on behalf of the American Society of Animal Science
.
Tra le emissioni di gas serra dovute alle attività zootecniche vi è, oltre al metano ruminale,
quella che deriva dalla fermentazione e gestione del letame proveniente dagli animali
d’allevamento. Per nutrire le bovine vengono utilizzate piante che fissano il carbonio e
quindi sottraggono anidride carbonica dall’atmosfera. Sono state quantificate e sommate
le emissioni relative alle fermentazioni ruminali, quelle relative al letame, alla gestione e
diffusione di animali di specie allevate in Italia, nonché al letame rilasciato dagli animali al
pascolo. Sono state calcolate le emissioni dovute alla respirazione degli animali ed è stata
calcolata l’anidride carbonica fissata dalle principali colture di interesse zootecnico e poi
sottratta all’atmosfera. Inoltre, sono state prese in considerazione anche le emissioni
derivanti dalla coltivazione di specie vegetali, imputabili alla lavorazione del suolo, alla
produzione di fertilizzanti e pesticidi, all’energia elettrica, ai combustibili e al funzionamento
delle macchine. I risultati di questa elaborazione mostrano che in Italia la CO2 fissata
nella vegetazione coltivata per l’alimentazione degli animali è di circa il 10%
superiore alla somma di quella emessa dagli animali allevati e dall’intero processo
che ne fa parte
. Si potrebbe quindi sostenere che l’influenza della fissazione del carbonio
dovrebbe probabilmente essere presa in considerazione per calcolare l’impatto ambientale
in termini di impronta di carbonio dei prodotti agricoli e animali.
Per concludere – ha terminato Nicola Bertinelli – quando si parla di sostenibilità, è
fondamentale non dimenticare l’aspetto legato al benessere della comunità che ha poi
anche risvolti economici. Tra le tante iniziative per garantire la tutela dell’ambiente, il
Consorzio ha sviluppato il progetto di certificazione “Progetto Qualità – Prodotto di
Montagna”. Attraverso il sistema di certificazione DOP, infatti, viene garantito il 100% di
produzione locale, con benefici per l’economia rurale, non solo aumentando direttamente il
reddito degli agricoltori, ma anche creando un incentivo per le persone a vivere nelle zone
più remote”.

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