L’importanza del fuoco per la trasformazione dei cibi e per riattivare tradizione e convivialità.

Foto di Loredana Parisi: forno a legna di “zi Ciruzz”
Foto di Loredana Parisi: forno a legna di “zi Ciruzz”

Ogni volta che vedo la legna che arde, pronta per una cottura o per riscaldare l’ambiente e ne avverto l’inconfondibile odore, si attivano immagini potenti e riflessioni delicate.

Il fuoco, dal latino focus, è uno degli elementi primari che ha trasformato la storia dell’umanità, e la parola è anche utilizzata nell’accezione di attenzione sugli aspetti di una determinata questione per “facilitarne l’esame” (rif. Vocabolario Treccani). Ovviamente non è un caso. Il fuoco accentra, attiva luce, e modifica in maniera irreversibile lo stato di ciò che incontra.

Riuscire a generare il fuoco, a gestirlo utilizzandolo per riscaldare, per illuminare e per cucinare, ha cambiato la storia dell’umanità.

Per quanto riguarda la trasformazione del cibo, grazie a forni elettrici, fornelli ad induzione e altri ritrovati tecnologici, il fuoco è quasi scomparso dalle cucine. Questione di praticità, pulizia, eco – sostenibilità anche, sicurezza, risparmio, innovazione tecnologica. Il fuoco vivo per cucinare è quasi del tutto appannaggio di barbecue estivi, di pizzerie e panifici con forni a legna, caminetti e forni di campagna di antica generazione.

Negli ultimi anni si assiste però in tutto il mondo ad un ritorno del Fuoco come elemento fondante dell’alta cucina, diversi chef italiani come Bottura, Massimiliano Poggi e i Fratelli Tinari in Abruzzo oltre che Paolo Lo Priore e altri, hanno riportato in tavola la cultura ancestrale del cibo cucinato sulla brace, con il caminetto, sulla griglia a fuoco vivo.

Lennox Hastie. proprietario e cuoco del ristorante Firedoor, in Australia con i suoi tizzoni ha incantato il mondo dell’alta gastronomia, e addirittura il nostro Bottura creando una vera a propria scuola di valorizzazione dei piatti e dei sapori attraverso la cottura sulla brace. Ha raccolto tutto il suo sapere in un libro dal titolo evocativo del quale si è parlato in tutto il mondo. “Fuoco: cucina primordiale”.

Il senso della mia riflessione è legato ad ogni modo all’importanza della riscoperta più frequente e alla portata di tutti del fuoco in cucina, come elemento per riattivare tradizione e convivialità.

I ritmi frenetici e anche le necessità di mettere a norma le case, degli ultimi anni hanno fatto optare giustamente per la tecnologia a disposizione per innovare il proprio modo di organizzare la convivialità e quindi la socialità. Molto spesso i caminetti a diposizione sono rimasti spenti o sono diventati inservibili per mancanza di manutenzione, i forni in campagna sono abbandonati e diroccati, la brace è diventata troppo complicata anche per uno sporadico pic nic. Non è rievocazione nostalgica delle storie intorno al fuoco, è proprio sorprendente il constatare che il rito dell’accensione, della cultura e della vita che ruota intorno al fuoco è sfuggita completamente dalla nostra quotidianità.  La cultura della legna da ardere, i profumi di una tipologia di legna o la tenuta di un’altra, sono ricordi legati al forno della nonna.

Negli ultimi anni, si è assistito al filone del recupero e della valorizzazione delle abbandonate da far rivivere, in alcuni casi è diventato famoso il recupero di forni urbani comuni, oppure altre strutture utili per cuocere con il fuoco. Sono note le storie di recupero dei forni comunitari di molte zone del Piemonte in particolare, e in ogni parte d’Italia. Sono state salvate storie collettive di socialità condivisa, di profumi di “cibi privati” fuori dalle cucine di casa, si è provato a recuperare il senso della relazione che si è sviluppato per secoli intorno ai pani e ai cibi cotti al fuoco.

È da auspicare che questa tendenza non sia solo una moda, ma una vera e continuativa valorizzazione di luoghi e sentimenti e buon cibo che vada oltre l’archeologia antropologica, che miri a ritrovare gli elementi primordiali che hanno contribuito alla crescita e alla felicità umana.

Mi piacerebbe andare oltre, e sul pratico anche, sollecitando il recupero ordinario di forni a legna, caminetti e braci di antica fattura disseminati nelle campagne, nelle case private e magari non di prima residenza.

L’anno epocale 2020, con tutti gli accadimenti pandemici, ci ha fatto riconsiderare ciò che per frettolosa comodità non era più nella nostra visione delle cose. Il “vecchio”, che era di intralcio nella quotidianità, ha ricominciato ad essere il punto di riferimento per l’auspicato ritorno di “normalità”.   A me, che sono già da qualche anno una estimatrice del recupero degli elementi virtuosi delle tradizioni per procedere ad innovarle, è stata riservata sul tema una bella sorpresa. Proprio durante il periodo di lockdown della prima fase della pandemia europea, mia madre che vive in campagna a Palomonte in provincia di Salerno, ha deciso di recuperare il suo forno a legna di circa 40 anni, costruito da “zi Ciruzz” contadino locale con una grande esperienza sul campo di creazione di forni efficaci in termini di cottura perfetta e ottimizzazione del fuoco.

 In estate 2020 il forno di mia madre è diventato il luogo di raccolta per la migliore gestione di nipoti discoli, ed è nata anche una nuova cucina “di lavoro”, adattata attorno al punto di cottura a legna recuperato per pane, pizze, dolci festivi in quantità.

Voglio utilizzare l’immagine e la metafora evocativa del fuoco che produce relazioni, che brucia il vecchio e della fiamma viva che trasforma la materia prima in cibo buono, per augurare a tutti giorni nuovi e più consapevoli, al più presto senza emergenza sanitaria, pieni di idee da recuperare, trasformare e attivare.

Loredana Parisi* © Riproduzione riservata
*Sociologa esperta in comunicazione e pubbliche relazioni Fondatrice del progetto PiantaGrani

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