L’industria del miele in difficoltà per l’inflazione e gli sconvolgimenti climatici

Gli sconvolgimenti climatici recenti hanno ridimenzionato la produzione di miele nazionale, con crolli consistenti per alcune varietà come l’acacia, la sulla e gli agrumi. Il raccolto del 2023, da quanto emerge dalle stime di Coldiretti 2023, rischia di essere, fra i più poveri del decennio.

Le perdite di produzione negli alveari sono distribuite a macchia di leopardo da Nord a Sud, dal Veneto alla Puglia, dalla Lombardia alla Calabria, dalla Toscana all’Abruzzo e hanno riguardato in particolare le raccolte di primavera che – spiega Coldiretti – rappresentano la parte più importante e consistente del miele nazionale. A partire dalla seconda metà di giugno, si è osservata una ripresa delle produzioni con buoni risultati su alcune fioriture. Tuttavia, in diverse zone del Sud e delle Isole – avverte Coldiretti – il caldo estremo di luglio ha condizionato i raccolti estivi e causato il collasso di diversi alveari con le temperature superiori ai 40 gradi hanno creato problemi alla termoregolazione degli alveari e causato talvolta la morte di intere famiglie

Il mercato del miele confezionato per il consumatore finale vale nel 2022 circa 164 milioni di euro (Fonte: IRI), +3,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. A questo si somma il valore del mercato del miele destinato alle industrie (alimentare, cosmetica, farmaceutica, etc.) che lo utilizzano come ingrediente e che nel 2022 è stimabile in circa 21 milioni di euro (+16%). Il tutto per un valore totale di 185 milioni di euro (+ 5% sul 2021). Nell’ultimo anno, sono state vendute al consumatore 14,1 mila tonnellate di miele confezionato, segnando -5,7% sullo stesso intervallo luglio 2021/2022, in linea con il calo delle vendite registrato per il settore alimentare (Fonte: Nielsen) per un totale di 32 milioni di confezioni di miele, con un consumo pro capite di 400/450 grammi (Fonte: Unione Italiana Food). A fronte di un fatturato leggermente in crescita, sono scesi produzione e marginalità delle aziende. L’inflazione e il caro prezzi delle materie prime legate al comparto hanno contribuito ad una contrazione. In calo i dati riguardanti l’export (principalmente verso i Paesi europei): un vero peccato perché la qualità e la varietà dei mieli italiani meriterebbero di essere maggiormente conosciuti ed apprezzati all’estero. Dati che  sottolineano l’assenza di un’efficace attività di promozione del miele italiano sui mercati esteri, che possa valorizzarne l’eccellenza.  

Il settore è in difficoltà: l’industria italiana di confezionamento del miele ha dovuto subire gli effetti dell’inflazione e del caro prezzi delle materie prime legate al comparto (riguardanti, prevalentemente, l’incremento dei costi de materiali di imballaggio, come il vetro, e dei trasporti). A questi, si sommano le anomalie climatiche che incidono sulla produttività del nettare del fiore e quindi sulla conseguente produzione di miele, con ulteriori incrementi dei costi, molto significativi, anche da parte dei produttori.

Siamo un settore dalla lunga tradizione familiare e ci impegniamo quotidianamente per mantenere alti gli standard di qualità ed eccellenza, nonostante il caroprezzi – afferma Raffaele Terruzzi, Presidente del Gruppo Miele e altri Prodotti dell’Alveare di Unione Italiana Food, che rappresenta i confezionatori e gli importatori di miele italiani – ma crescono sempre di più le difficoltà. Da un paio d’anni lo scenario è molto delicato per i produttori italiani di miele e per l’industria che lo confeziona; una situazione che non si era mai verificata in 60 anni, un connubio davvero preoccupante tra inflazione, caro prezzi, incrementi dei costi di produzione e avversità climatiche”. Questa è una condizione che mette in difficoltà il mercato. E come emerge dall’ultimo rapporto Coop recentemente pubblicato, oggi per il consumatore il prezzo è diventato il principale driver d’acquisto, penalizzando altri aspetti, come l’origine del prodotto.

Per il miele confezionato in Italia la legislazione italiana impone dal 2008 l’obbligo ai confezionatori di esplicitare in etichetta l’origine della materia prima, attraverso l’indicazione dei singoli Paesi di raccolta del miele, mentre la legislazione UE ammette diciture più generiche, anche qualora destinato ad essere commercializzato in Italia. Se il miele è originario di più Stati membri o paesi terzi la direttiva europea consente, infatti, che l’indicazione dei paesi d’origine possa essere sostituita da una delle seguenti, a seconda dei casi: “miscela di mieli originari dell’UE”, “miscela di mieli non originari dell’UE”, “miscela di mieli originari e non originari dell’UE”. Poter leggere in etichetta i singoli Paesi di raccolta del miele, oltre a costituire un’utile informazione per il consumatore, agevola l’identificazione del miele confezionato in Italia. Per questo Unione Italiana Food ha scelto di avviare una campagna di informazione che racconti agli italiani quali sono i fattori di qualità che rendono unico il miele confezionato dalle Imprese di confezionamento italiane. Proprio prendendo esempio dalla legislazione italiana, alcuni Paesi UE (es. Francia, Grecia e Spagna) hanno deciso di indicare in etichetta i singoli Paesi della raccolta del miele per il miele confezionato e commercializzato sul proprio territorio. Questo ha spinto la Commissione UE a presentare una proposta per la revisione della direttiva miele, al fine di armonizzare le regole a livello europeo, a beneficio di una maggiore trasparenza nei confronti del consumatore.  

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