Concluso il progetto CREA sulla diversificazione colturale nei campi

Il CREA – centri di Agricoltura e Ambiente, Cerealicoltura e Colture Industriali e Genomica e Bioinformatica –, in collaborazione con l’Università della Tuscia, il Consorzio Casalasco del Pomodoro e il Gruppo Barilla, hanno presentato un progetto che ha avuto come obiettivo la costituzione di sistemi colturali diversificati e a bassi input chimici, per ridurre gli impatti ambientali garantendo la resa delle colture e migliorando l’organizzazione dell’intera filiera produttiva. Il progetto ha coinvolto gli attori chiave delle filiere di pomodoro, pasta e prodotti da forno, per definire le strategie di gestione maggiormente innovative e più adeguate da introdurre nelle aree pilota – Pianura Padana (Cremona, Mantova e Piacenza) e Capitanata (Foggia).

Ma cosa ne pensano gli agricoltori, i tecnici e le amministrazioni? Quali difficoltà hanno incontrato nell’adozione di prassi innovative? Per rispondere a tali domande è stata avviata una consultazione pubblica, recentemente pubblicata sulla rivista Frontiers in Environmental ScienceLa consultazione è stata effettuata nelle aree pilota italiane, indentificate quindi come casi studio rappresentativi dell’intero progetto per il Nord Mediterraneo, e ha visto in coinvolgimento di 50 intervistati, tra agricoltori (12), tecnici del settore operanti in ONG (4), ricercatori (10), agronomi del settore operanti nelle amministrazioni pubbliche (10) e consulenti privati (14), esperti dei sistemi colturali erbacei nelle aree irrigue e non irrigue.

I risultati. Il timore di perdere la redditività e la limitata formazione professionale di molti agricoltori sulla consociazione sono stati identificati come i problemi principali, mentre un punto di forza consiste nel fatto che le colture leguminose scelte come colture multiple da inserire nelle rotazioni di cereali e pomodori non sono solo adatte alle condizioni pedoclimatiche locali, ma sono anche ampiamente conosciuta dagli agricoltori. Inoltre, le pratiche di lavorazione minima – mantenendo la copertura delle colture, le rotazioni, l’applicazione di letame e il sovescio – sono risultate adeguate ed efficaci, senza aggravio di ulteriori costi, né di grandi investimenti in macchinari, né di agricoltori altamente qualificati. Occorre però rendere tali pratiche sempre più diffuse e condivise, integrandole strategicamente nelle politiche nazionali e impegnandosi sulla formazione degli agricoltori.

a cura della redazione © Riproduzione riservata

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