Il testo che si è classificato al secondo posto nel concorso di scrittura creativa promosso dalla Fondazione Edamus, dedicato alla Dieta Mediterranea e rivolto agli studenti del Liceo Scientifico “A. Gallotta” di Eboli e dell’Istituto ProfAgri di Capaccio-Paestum
C’è un tempo che non si misura in minuti o ore, ma in gesti, profumi, silenzi. È il tempo lento di una cucina che non è solo luogo, ma memoria. Il tempo delle mani che lavano le verdure adagio, del pane che aspetta, del sugo che sobbolle mentre fuori il giorno cambia luce. Questo tempo, che oggi sembra quasi un lusso, era il tempo naturale della dieta mediterranea. Non una dieta – nel senso in cui siamo abituati ad utilizzare oggi questo termine – ma la dieta per eccellenza, stile di vita, una filosofia dell’equilibrio e della relazione. Un modo di stare al mondo, che nasce dalla terra e trova il suo compimento attorno a una tavola condivisa.
Nel 2010 la dieta mediterranea è stata riconosciuta Patrimonio culturale immateriale dell’umanità dall’UNESCO. Per chi l’ha vissuta, questo riconoscimento è arrivato tardi, perché il suo valore era già inciso nel DNA dei popoli cui appartiene: nell’umiltà di scegliere ingredienti disponibili sulle tavole più povere; nel rispetto per la stagionalità degli alimenti; nella capacità di trasformare l’essenziale in qualcosa di buono, nutriente, bello. Una cultura fondata sull’armonia: tra uomo e natura, tra bisogno e piacere, tra individualità e comunità.
Dal punto di vista nutrizionale, questa dieta si fonda su un’equilibrata ripartizione dei macronutrienti. I carboidrati complessi (50–55% dell’energia quotidiana) provengono soprattutto da cereali integrali, legumi e ortaggi. I grassi (30–35%) sono principalmente monoinsaturi, in particolare l’acido oleico dell’olio extravergine di oliva, con un basso contenuto di grassi saturi. Le proteine (15–20%) derivano per lo più da fonti vegetali e dal pesce, con un consumo limitato di carne rossa e prodotti trasformati.
Uno degli elementi distintivi della dieta mediterranea è l’alta densità di micronutrienti e sostanze bioattive. Frutta, verdura, erbe aromatiche e olio d’oliva apportano elevate quantità di antiossidanti naturali, come polifenoli, carotenoidi e vitamine C ed E, che contrastano lo stress ossidativo e l’infiammazione cronica di basso grado, due fattori alla base di molte malattie degenerative. La dieta è, inoltre, ricca di fibre alimentari, fondamentali per la salute intestinale, la regolazione della glicemia e la modulazione del microbiota.
Numerosi studi epidemiologici e clinici hanno dimostrato che l’adesione a lungo termine a questo modello alimentare è associata a un minor rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2, obesità, alcuni tipi di tumore e patologie neurodegenerative. Ciò avviene grazie a meccanismi fisiologici integrati: miglioramento del profilo lipidico, aumento della sensibilità insulinica, riduzione dei marker infiammatori e protezione vascolare.
Dal punto di vista metabolico, la dieta mediterranea agisce in modo sinergico, modulando positivamente l’equilibrio ormonale, il metabolismo glucidico e lipidico, e i processi di invecchiamento cellulare.
Anche se oggi è più difficile vivere in questa eredità filosofica, siamo cresciuti respirandola nei racconti, nei sapori d’infanzia, in certi pranzi di famiglia dove non serviva parlare, bastava esserci. Per me, la dieta mediterranea non è una moda né un ideale irraggiungibile: è una lingua antica che posso solo ascoltare, un’eco che mi accompagna. Quando ci penso, il pensiero non va solo alle ricette saporite che la arricchiscono, ma anche a come si mangia. Al valore del tempo dedicato alla preparazione dei piatti. Alla cura silenziosa che accompagna ogni gesto in cucina. Alla dignità del cibo semplice.
Nonostante il suo valore riconosciuto a livello scientifico e culturale, la dieta mediterranea oggi è spesso sottovalutata o percepita come antiquata, specialmente dalle giovani generazioni. Questo paradosso è alimentato da diversi fattori.
In primo luogo, la crescente influenza della diet culture – veicolata dai social media, dal marketing alimentare e dall’industria del benessere – ha spostato l’attenzione dal cibo come nutrimento e cultura al cibo come controllo e performance. Regimi “veloci”, iperproteici, detossificanti o ipocalorici promettono risultati estetici immediati, oscurando modelli alimentari sostenibili e scientificamente fondati, come quello mediterraneo, i cui benefici si manifestano nel medio-lungo termine.
In secondo luogo, la dieta mediterranea richiede tempo, maestria e consapevolezza: cucinare legumi, scegliere prodotti di stagione, prediligere ingredienti freschi e non processati implica un coinvolgimento attivo, che spesso si scontra con i ritmi frenetici della vita urbana contemporanea. L’industria alimentare ha reso più accessibili cibi pronti e ultra-processati, contribuendo alla progressiva perdita delle pratiche alimentari tradizionali.
Inoltre, vi è una percezione errata secondo cui la dieta mediterranea sia “noiosa” o monotona, legata a stereotipi culturali e alla perdita della trasmissione intergenerazionale delle ricette e del sapere culinario. Questo distacco ha facilitato l’adozione di modelli alimentari globalizzati, spesso più ricchi di zuccheri, grassi trans e sodio.
Infine, la mancanza di politiche educative e comunicative efficaci ha impedito la valorizzazione piena di questo patrimonio nutrizionale. La dieta mediterranea non è solo una scelta alimentare, ma un atto culturale e ambientale, profondamente radicato nella biodiversità e nella stagionalità.
Questa cultura è sempre più lontana dal nostro vivere quotidiano. Viviamo in un mondo che ci chiede velocità, efficienza, immediatezza. Mangiamo in piedi, davanti a uno schermo, tra un impegno e l’altro. Il cibo è diventato un carburante più che un incontro. In questa corsa, perdiamo qualcosa di essenziale: non solo la qualità degli alimenti, ma il senso stesso del nutrimento; a ciò si aggiunga l’influenza di modelli alimentari lontani dalla nostra storia, il fascino del fast food, la promessa ingannevole delle diete miracolose, il marketing del benessere rapido.
Anche il costo ha il suo peso: mangiare bene, oggi, sembra sempre più un privilegio. La dieta mediterranea richiede ingredienti freschi, locali, di stagione — alimenti che non sempre sono accessibili a tutte le famiglie.
Tuttavia, il problema più profondo, a mio avviso, è culturale. Abbiamo smarrito il valore simbolico e affettivo del cibo. Abbiamo dimenticato che una tavola apparecchiata è un atto d’amore, che cucinare è un modo di dire: “mi prendo cura di te”.
Non tutto è perduto. Anzi, forse oggi più che mai abbiamo bisogno di tornare a quei valori. Di riscoprire la dieta mediterranea non come imposizione, ma come scelta consapevole. Una ribellione gentile contro la disgregazione del tempo moderno. Un ritorno all’essenziale, che non è sinonimo di povertà, ma di una necessaria abbondanza, ricchezza autentica. Per farlo, serve educazione, certo: a scuola, nelle famiglie, attraverso i media; serve politica, per rendere il cibo sano accessibile a tutte e a tutti; serve soprattutto un cambiamento interiore. Una disponibilità a rallentare, ad ascoltare, a cucinare insieme, anche solo una volta a settimana. Serve guardare il cibo con occhi nuovi, come qualcosa che ci riguarda, che ci definisce.
Perché il valore più profondo della dieta mediterranea, oggi, è la sua capacità di farci ritrovare la nostra umanità perduta. In un mondo che tende a dividerci, ci ricorda che siamo fatti per condividere; che attorno a una tavola nasce la comunità; che mangiare non è solo un bisogno, ma una relazione: con il passato, con chi ci siede accanto, con ciò che vogliamo diventare.
Forse non torneremo più ai ritmi di una volta, ma possiamo portare con noi lo spirito di quella lentezza. Sarebbe bello scegliere, ogni tanto, di ascoltare il silenzio di una cucina, aspettando che qualcosa cuocia piano e raccontando una storia mentre si taglia un pomodoro. Potremo insegnare così ai nostri figli che un pasto condiviso vale più di mille parole. E che dentro una semplice ricetta c’è una verità più grande: siamo ciò che scegliamo di amare. E il cibo, quando è vero, ci insegna ad amare meglio.
Vincenzo Esposito Liceo Scientifico “A. Gallotta” di Eboli