Il grano ucraino distrutto dai bombardamenti russi

Oltre 100mila tonnellate di grano sono state distrutte dai bombardamenti russi sui porti dell’Ucraina che si affacciano sul Mar Nero e sul Danubio. La reazioni dei mercati internazionali è stata immediata. Solo nella giornata di venerdì, è stato del 5% l’aumento delle quotazioni del grano.

I prezzi, fa notare Confagricoltura, restano comunque sensibilmente al di sotto (circa il 20%) del picco registrato nel marzo 2022. Secondo l’indice della FAO, i prezzi internazionali dei cereali sono diminuiti lo scorso mese di giugno oltre il 2% rispetto a maggio.

Dopo il mancato rinnovo dell’Accordo sul grano dal Mar Nero la Federazione Russa punta a ostacolare in ogni modo le esportazioni agroalimentari dell’Ucraina. A livello europeo sono allo studio nuove iniziative per ampliare i cosiddetti “corridoi di solidarietà”, che hanno assicurato un’alternativa alla movimentazione via mare di prodotti ucraini, sia pure con tempi e costi superiori.

“A seguito del crollo delle vendite all’estero di gas naturale – rileva il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti – la Russia usa il grano come arma per ottenere l’allentamento delle sanzioni imposte dalla comunità internazionale per l’aggressione all’Ucraina. Tra le richieste presentate per far ripartire l’accordo sul Mar Nero, c’è infatti la riconnessione della Banca nazionale dell’agricoltura al sistema dei trasferimenti finanziari internazionali (SWIFT)”.

Confagricoltura ricorda che le sanzioni non si applicano ai prodotti destinati all’alimentazione e ai mezzi tecnici per la produzione agricola, inclusi i fertilizzanti. Nella campagna 2022-2023, le esportazioni di grano russo hanno raggiunto il massimo storico di 45 milioni di tonnellate.

“La situazione è di estrema incertezza – sottolinea il presidente –. In questo quadro, è inspiegabile l’atteggiamento della Commissione europea che non intende dare seguito alla richiesta di numerosi Stati membri per prorogare le deroghe alla rotazione obbligatoria dei seminativi e alla destinazione a finalità non produttiva di una parte dei terreni. L’Unione europea – conclude Giansanti – deve salvaguardare il proprio potenziale produttivo, anche per contribuire a scongiurare il persistente rischio di una crisi alimentare globale”.

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