Plastica in mare: gli effetti nocivi sugli animali marini

Da recenti indagini condotte sulle undici spiagge delle aree pilota nel Mediterraneo, è emerso che il materiale più presente è la plastica; più della metà dei rifiuti (53%) è monouso o usa e getta, circa il 20% sono mozziconi di sigaretta, il 7% cotton fioc e il 9% pezzi di plastica di piccola, media e grande dimensione. Su oltre 700 individui analizzati, riconducibili a 6 specie ittiche, è risultato che un pesce su tre ha ingerito plastica e in più della metà delle tartarughe marine sono stati ritrovati rifiuti. Segnale di un impatto fortemente negativo per tutta la biodiversità marina. Questo non solo a causa dei problemi dovuti all’ingestione dei rifiuti, ma anche ai possibili effetti tossici legati agli additivi aggiunti ai materiali plastici.

Gli impatti del marine litter sulla fauna marina sono numerosi, anche a causa delle diverse forme e dimensioni del rifiuto: se da una parte riguardano l’intrappolamento degli esemplari principalmente in reti da pesca e oggetti galleggianti, dall’altra l’ingestione dei rifiuti può portare a malnutrizione, morte per soffocamento, ostruzione del tratto intestinale, inedia. Inoltre, l’ingestione di plastica e microplastica può provocare alterazioni a vie metaboliche e sistemi endocrini dovuti al rilascio di sostanze tossiche contenute o assorbite dalla plastica (ftalati, composti organoclorurati e altre sostanze tossiche) una volta all’interno degli organismi.

Secondo i ricercatori, turismo e attività ricreative sono tra le principali cause dell’inquinamento rinvenuto in queste aree. Per quanto concerne, invece, le indagini sulle microplastiche nella colonna d’acqua, l’area più contaminata risulta essere la Riserva di Tyre in Libano, in particolar modo durante la stagione delle piogge, dimostrazione della forte influenza che hanno gli apporti dall’entroterra tramite il run-off dei fiumi sulla quantità dei rifiuti in mare.

La Caretta caretta è stata utilizzata come indicatore dello stato di salute del bacino, in accordo con quanto stabilito nel programma IMAP (Integrated Monitoring and Assessment Programme of the Mediterranean Sea and Coast) è ha rivelato che in oltre 140 esemplari provenienti da, Tunisia, Libano e Maremma (Italia), i livelli di ingestione variano tra il 40 e il 70%; gli individui provenienti dall’area maremmana, sono quelli in cui è stata riscontrata la frequenza maggiore di ingestione.

È questo, in estrema sintesi, ciò che emerge dai monitoraggi del progetto finanziato dall’Unione Europea tramite il programma ENI CBC MED con 2.2 milioni di euro, che ha visto coinvolti Legambiente, l’Università di Siena e il CIHEAM Bari, l’Istituto Nazionale di Scienze e Tecnologie del Mare di Tunisi e l’Università di Sousse per la Tunisia e l’ONG libanese Amwaj of the Environment e la riserva naturale di Tyre, per il Libano. È in questi tre paesi che si sono concentrate le attività del progetto i cui risultati sono stati presentati nel corso della conferenza di ieri e oggi presso il Carthage Hotel di Tunisi.

Intervenendo alla conferenza finale, Giorgio Zampetti, Direttore Generale di Legambiente, ha ricordato che: «Sebbene il nostro mare sia più piccolo degli oceani Atlantico e Pacifico, è uno degli hotspot di biodiversità più importanti al mondo, ma purtroppo anche uno dei maggior sei, nel mondo, per quanto riguarda la concentrazione di plastiche in mare. Uno dei maggiori ostacoli al contrasto di questo fenomeno è rappresentato dalla presenza di legislazioni e regole nazionali troppo complesse e poco uniformi tra loro. Per questo, con il progetto COMMON, abbiamo promosso l’adozione di politiche comuni tra i paesi che si affacciano sul mar Mediterraneo, perché, è importante ribadirlo, il problema del marine litter va affrontato agendo a livello internazionale, con un’azione congiunta e coordinata dei singoli stati».

Maria Cristina Fossi, docente dell’Università di Siena, e partner del progetto COMMON e Plastic Busters CAP, ha sottolineato che «Il progetto COMMON, si propone come un esempio unico, a livello Mediterraneo, di capitalizzazione delle metodologie di monitoraggio sviluppate in iniziative precedenti (per esempio il progetto Interreg-Med Plastic Busters MPAs) e una loro implementazione attraverso azioni mirate di diagnosi e mitigazione, sinergicamente attuate nelle due sponde del Mediterraneo, come auspicato dall’Unione del Mediterraneo attraverso l’iniziativa Plastic Busters».

Durante gli anni di progetto, per promuovere l’impegno dei cittadini e degli “utenti del mare”, sono stati organizzati un centinaio di eventi di sensibilizzazione per varie categorie interessate: pescatori, stabilimenti e operatori economico-turistici della costa, amministratori di città costiere, studenti, società civile, e altre organizzazioni.

I pescatori incontrati nelle aree pilota, circa 268 tra singoli e cooperative, sono stati coinvolti in workshop e seminari incentrati sugli impatti del marine litter sulla loro attività, e sul problema, molto sentito, della gestione dei rifiuti accidentalmente raccolti durante la pesca.

Gli operatori turistici, circa 80, sono stati coinvolti in workshop e nella campagna estiva di sensibilizzazione BEach CLEAN, un’iniziativa volta a promuovere una migliore gestione dei rifiuti negli stabilimenti balneari di località del Mediterraneo ad alto afflusso turistico. La campagna ha visto il coinvolgimento di 230 stabilimenti per la sensibilizzazione dei turisti e dei frequentatori delle spiagge. Inoltre, il progetto ha promosso Clean Up The Med, una grande iniziativa di volontariato ambientale giunta ormai alla sua trentesima edizione, che nel corso di COMMON ha visto oltre 2mila volontari provenienti da 20 paesi del Mediterraneo prendere parte alle attività di pulizia delle spiagge, rimuovendo 10 tonnellate di spazzatura marina in quasi 24mila km di costa.

Per affrontare la necessità, tra i paesi che si affacciano sul Mediterraneo, di adottare politiche comuni per la gestione dei rifiuti, l’attività di COMMON si è concentrata in primo luogo sulle aree urbane costiere, creando occasioni e luoghi di incontro e confronto tra amministrazioni locali, attività produttive e turistiche. Nelle attività dei Local Working Groups sono stati coinvolti diversi stakeholder e policy maker con l’obiettivo di formare i professionisti e gli addetti del settore per gestire al meglio i rifiuti nelle aree costiere e prevenire la loro dispersione nell’ambiente. Gli incontri sono stati utilizzati anche per creare un Network delle città costiere, favorendo lo scambio e il racconto di buone pratiche, che sono state raccolte nella piattaforma COMMON e sono a disposizione per essere di ispirazione e replicate.

a cura della redazione © Riproduzione riservata

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui