I monaci dell’Abbazia di Chiaravalle incontrano il Consorzio Grana Padano

in foto l'Abbazia di Chiaravalle

Un viaggio nel cuore della pianura Padana che pare un rapido percorso nella storia del formaggio a denominazione d’origine protetta più antico e più consumato nel mondo. E’ ciò che hanno compiuto ieri, i monaci cistercensi dell’Abbazia di Chiaravalle, nel Parco Sud Milano, il luogo dove secondo tradizione consolidata nel 1135, anno di fondazione del complesso monastico, fu creato il caseus vetus, che nel 1954 fu denominato Grana Padano, con la nascita del Consorzio di Tutela.

I monaci infatti, accompagnati dal Direttore Amministrativo del Consorzio, Giuseppe Saetta, hanno visitato innanzitutto il Caseificio “Zucchelli” ad Orio Litta, una dei più antichi e nel cuore del Lodigiano, territorio dove si sviluppò ben presto la lavorazione del “formai de grana”, come lo chiamava il popolo, dalla pasta dura e granulosa e dalla lunga stagionatura, che con la specifica di “lodesano” fu tra i più conosciuti ed apprezzati. A guidarli tra le caldaie della lavorazione del latte ed i magazzini di stagionatura delle forme Ambrogio Abbà, presidente del caseificio.

Gli ospiti hanno raggiunto poi la sede del Consorzio di Tutela a Desenzano del Garda, in provincia di Brescia, dove hanno visitato gli uffici e le strutture cuore dell’attività di promozione, valorizzazione e controllo sulla produzione e la commercializzazione del Grana Padano DOP. Ad accoglierli i vertici del Consorzio per uno scambio di saluti e la benedizione.

Questa visita articolata ed il momento religioso ci onorano profondamente – spiega il Direttore Generale del Consorzio di Tutela, Stefano Berni –, ma soprattutto sono il segno di un rinnovato e strettissimo legame tra il Consorzio Grana Padano e tutti gli addetti che rappresenta a vari livelli e la comunità monastica che a Chiaravalle custodisce e valorizza un luogo sacro, importante per la storia dell’Europa e fondamentale per quella di migliaia di produttori di latte, di imprenditori e di lavoratori che in un anno producono oltre 5,2 milioni di forme e ne esportano circa 2,2 milioni. Con ancora maggiore determinazione, quindi, sosterremo l’attività e l’immagine dell’Abbazia di Chiaravalle che fa parte del nostro passato e lo sarà anche del nostro futuro”.

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